Renata - Agosto 2018

Nicky l’ho incontrato appena arrivata ad AINA. Era vicino alla bella siepe di Euonymus variegato che delimita il villaggio, dava la mano a una signora e tossiva in maniera straziante. Malgrado ciò ha ricambiato il mio sguardo. L’ho rivisto qualche ora dopo nella sala della mensa e lì, senza che io facessi niente, ha deciso di interagire con me.

Mi ha cercata con gli occhi e abbiamo iniziato un gioco muto in cui io gli proponevo piccoli pezzi di cibo che accettava o rifiutava a seconda del suo gradimento: il pesce sì, il pomodoro no, l’avocado sì… Finito il pasto si è seduto sulle mie ginocchia come se fosse la cosa più normale del mondo. Aveva la febbre alta, scottava ma ciò non gli ha impedito di giocare con i miei occhiali, con il cellulare (mi ha persino scattato delle foto), di gonfiare palloncini, di ridere. A un certo punto, con la massima naturalezza ha cercato di scoprirmi la fronte scostandomi la frangetta (gli deve essere sembrata ben strana!). Un gesto intimo, pieno di delicatezza e di dolcezza.

Nicky ha sette anni, mi hanno detto, al momento del nostro viaggio si trovava ad AINA da sole due settimane. La sua carica virale era molto alta e le sue difese immunitarie basse, probabilmente aveva la polmonite o forse la tubercolosi. Il giorno dopo è stato ricoverato in ospedale e io, tornata alla mia vita, sono stata molto in pena per lui. Ora so che sta meglio (come si vede dalla foto) e ha ripreso la scuola insieme a tutti gli altri bambini.

Quando stai per andare in Africa, coloro che già la conoscono ti dicono che certamente anche tu verrai contagiato dal Mal d’Africa, che è un paese verso il quale si sviluppa dipendenza, che si soffre standone lontano e che ti prende la smania di tornarci.

È proprio vero, il contagio si subisce e non c’è vaccino che tenga! Ma nel mio caso a provocarlo non sono state le Verdi colline di cui parla Hemigway, non la natura primigenia che tanto aveva turbato anche Jung, non i magnifici giaguari della savana, non il cielo tridimensionale e gli orizzonti sconfinati che ti fanno immaginare come doveva essere il mondo prima della comparsa dell’uomo… io desidero fortemente tornare in Africa perché, fuori da ogni retorica, ho scoperto che al villaggio dei Bambini del Meriggio vive una parte di umanità davvero speciale, che coltiva la speranza.

Renata – Psicoterapeuta